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Dai valori letti ai risultati delle misure

Il problema del numero di cifre con cui presentare un risultato verrà trattato per gradi. In questo capitolo ci occupiamo soltanto del numero di cifre con cui scrivere sul logbook il valore misurato direttamente (ossia letto sullo strumento) e quante cifre portarsi dietro nei conti nell'effettuare misure indirette. A tempo debito tratteremo più a fondo il problema con criteri basati su argomenti probabilistici.

Fino agli inizi degli anni '70 era importante stabilire a priori il numero di cifre con le quali lavorare, poiché ogni cifra in più voleva dire molti conti da fare a mano o con l'ausilio di tabelle e di regoli calcolatori. L'uso dei calcolatorini tascabili ha praticamente eliminato tale problema dal punto di vista tecnico ma, ciò nonostante, è inopportuno portarsi dietro più cifre di quelle necessarie ad esprimere il risultato con la precisione con cui è stato ottenuto. Infatti, se esse non danno informazioni significative sulle grandezze misurate sono soltanto ingombranti, facilitano la possibilità di errore di trascrizione e riducono l'intelleggibilità di tabelle e risultati.

Volendo stabilire dei criteri da seguire, diciamo innanzitutto che le letture vanno effettuate al meglio, sforzandosi di interpolare ad occhio fra le tacche di strumenti a lettura analogica. Per esempio, nella lettura di una lunghezza con un normale righello da disegno bisogna tentare di apprezzare il decimo di millimetro. Torneremo a tempo debito sull'incertezza da attribuire a tale stima personale e a come essa si rifletta sull'incertezza totale della misura. È comunque chiaro dall'esperienza dell'interpolazione fra le tacche del paragrafo 2.2 che la lettura dei decimi di divisione è ragionevole, anche se, a volte, può essere vanificata poi da altri errori in gioco. Ma questo è un altro problema che andrà trattato con la giusta attenzione al momento dovuto.

Per quanto riguarda le cifre sulle elaborazioni dei dati originali, prendiamo l'esempio di misure effettuate con un righello su un tondino di acciaio (un cilindro molto alto). Chiamiamo $ d$ il diametro e assumiamo, facendo del nostro meglio, di stimare che esso sia pari a $ 8.0$ mm. È da notare subito l'importanza dello zero dopo la virgola, sebbene si dica comunemente che esso non conta: nell'ambito delle misure esso conta moltissimo! Sta infatti ad indicare che, dovendo scegliere fra 7.9, 8.0 e 8.1 (ovvero3.1 fra 7.5, 8.0 e 8.5) chi ha effettuato la lettura dello strumento ha deciso che 8.0 fosse il valore più ragionevole (o più probabile). Se - caso assurdo per un righello, ma possibilissimo con altri tipi di strumenti - lo sperimentatore fosse stato in grado di scegliere fra 7.99, 8.00 e 8.01, egli avrebbe dovuto registrare 8.00, in quanto entrambi gli zeri erano stati accertati.

Calcoliamo ora l'area della sezione del cilindro mediante la formula $ A=\pi (d/2)^2$. La calcolatrice fornisce un valore di 50.26548246. Ma se noi prendessimo sul serio questo numero è come se veramente stessimo decidendo fra 50.26548245, 50.26548246 e 50.26548247. Non sembra molto sensato. Se nel calcolo avessimo utilizzato gli altri due valori fra i quali eravamo indecisi (7.9 e 8.1, tanto per fissare le idee) avremmo ottenuto rispettivamente 49.01669938 e 51.52997350. Quindi essenzialmente stiamo decidendo fra 49, 50 e 51. Tutte le altre cifre che seguono non sono affatto significative. Per coerenza scegliamo 50, ovvero 50cm$ ^2$.

È da notare che il valore numerico dipende dall'unità di misura. Si sarebbe potuto riportare il risultato in centimetri o in metri. Il valore numerico del diametro sarebbe stato 0.80 e 0.080 nei due casi. Ripetendo il ragionamento precedente si sarebbe trovato che il valore dell'area sarebbe stato 0.50cm$ ^2$ e 0.0050mm$ ^2$ nei due casi.


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Giulio D'Agostini 2001-04-02